Cinema da scrivere

Cinema da scrivere è la nuova Pagina del nostro sito dedicata alla Settima Arte nella quale verranno pubblicati articoli, recensioni, disamine critiche, approfondimenti e riflessioni sul Cinema di oggi e sul Cinema di ieri. Uno spazio vivo che vuole essere di analisi e servire da spunto e da sprone da un lato al dibattito e al confronto dall’altro alla visione dei film appena usciti come di pellicole che hanno fatto la Storia del Cinema. La pagina sarà curata da Ginevra Amadio, giornalista culturale studiosa ed esperta di Cinema

Cinema di oggi

La vita davanti a sé. La promessa mantenuta di un esordio

C’è un senso di prodigio nel lavoro d’esordio di Susanna Nicchiarelli, regista del bellissimo e dolente “Miss Marx” (2022), vista all’ultimo festival di Venezia con l’ennesimo atto d’amore verso una figura fuori-canone, quella Chiara d’Assisi che si ribella al padre, alle istituzioni e squarcia il velo del maschilismo ecclesiale.

Anche quest’opera prima, “Cosmonauta”, si configura come un racconto di formazione slabbrata, una fuga all’indietro che ha il sapore della nostalgia e dell’incanto, di un tempo così idealizzato (quello dei primi anni Sessanta) da apparire scomponibile, fatto di pezzi da riassemblare affinché risultino più vicini a noi, fra l’urgenza del recupero e la consapevolezza della perdita.

Al centro c’è la storia di Luciana, che scappa dalla chiesa il giorno della prima comunione. Interrogata dalla madre, dietro una porta chiusa, urla – a nove anni – “Sono comunista!”, dopo aver corso a perdifiato per le strade del Trullo, un po’ Antoine Doinel un po’ Sam Shakusky di “Moonrise Kingdom”, mentre in sottofondo esplode Caterina Caselli, ‘nessuno mi può giudicare’: nemmeno noi.

Il lavoro sul sonoro, che è cifra stilistica di Nicchiarelli, costruisce una tensione tra la linearità degli eventi e l’educazione sentimentale della protagonista, stretta tra il rifiuto del padre (o meglio, del patrigno), l’amore per il leaderino della sezione e un intenso, seppur germinale, senso di autodeterminazione. Gli anni dell’egemonia sullo spazio, dell’entusiasmo per Gagarin e Valentina Tereshoka, fanno così da sfondo a un percorso di smarcamento che è insieme la storia di un cuore in allarme, l’inventario dei primi dubbi e furori di una giovane a cui viene insegnato a comportarsi bene («certe cose non si fanno, e non si fanno con i compagni»), a tornare a casa in orario, a cedere il passo al maschio.

Ma Luciana non arretra, e in quella corsa che fin lì è stata sempre fuga – dalla Chiesa, dai genitori, dalle sedi assaltate – ritrova sé stessa davanti a un mare limpido, calmo, appena increspato dalle onde della sua rinascita.

31/01/2023 Ginevra Amadio

Cinema di ieri

La recensione a Le voci della luna pubblicata sulla rubrica di cinema del Numero 28/29 del periodico di informazione culturaleCultura e dintorni

Affermazione e desiderio femminile nel Cinema Italiano.

Da Sandra Milo a Monica Vitti, come il femminismo degli anni Sessanta si impone sulle pellicole italiane?

a cura di Ginevra Amadio

Saldamente ancorata a un’oblatività che travalica il dovere di cura, la rappresentazione del femminile, invadendo lo spazio pubblico, a partire dagli anni Sessanta si apre a una ridefinizione totale. Il rifiuto del ruolo ufficiale, dell’ideal-tipo incarnato dalle madri si intreccia a un senso di spaesamento che impone la necessità di confrontarsi con veicoli di affermazione ancora ritagliati sull’identità maschile. Il timido accesso a tutte le professioni, la militanza politica come strumento di liberazione, tutto è orientato a una decostruzione che investe persino i corpi, superando il modello pin upanni Cinquanta o la fisicità visivamente accogliente della generazione postbellica.

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In questa prospettiva, il cinema si pone ancora una volta come un osservatorio privilegiato, capace di intercettare cambiamenti e tensioni sottese a una ridefinizione del femminile che molto deve ai modelli d’oltreoceano e, più avanti, alle riflessioni di Carla Lonzi, una delle voci più risonanti del femminismo italiano.

Carla Lonzi. Fonte: Dol’s Magazine

Il “suo” «Soggetto Imprevisto», la «donna clitoridea» che supera e rifiuta la sessualità vaginale, sgretola l’ordine patriarcale prendendo coscienza di sé e dei condizionamenti subiti, indotti, esito di una storia tracciata per lei, confinata entro i ranghi di un’alterità “riposante“. Un soggetto che nasce, come rammentaLucia Cardone, «da un doppio movimento: dalla decostruzione puntuale del “momento più alto raggiunto dall’uomo (con l’arte, la religione, la filosofia, esattamente in senso hegeliano)”; e dalla riflessione autocoscienziale che mette primariamente a tema la sessualità», spazio di colonizzazione maschile atto a divenire zona di libertà mediante lo svelamento del grande inganno della passività della donna.

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Di questo percorso di riscoperta Lonziriflette la gioia inattesa – la bellezza del ritrovarsi tra donne – ma anche il risvolto impervio, irto di sbandamenti e dolore nella ricerca di autenticità che ne è alla base. Il rifiuto dei ruoli imposti dal patriarcato, dei comportamenti e rapporti sinora assunti come norma, provoca «un senso indicibile di estraneità», la stessa – più sotterranea – delle donne del decennio precedente, le quali iniziano un cammino di smarcamento reclamando rapporti umani “nuovi”, in linea con i loro desideri.

Manifestazione femminista per la Giornata della donna. Roma, 8 marzo 1977. Foto di Paola Agosti

Il cinema, si diceva, è in questo senso una lente di ingrandimento. Ancora maneggiata dagli uomini (i maestri della commedia all’italiana GermiSalceScola etc.), ma capace di rintracciare i segni del Soggetto Imprevisto, di questa donna irriducibile alla norma, centrata sul desiderio e la materialità del corpo. Vi è Antonio Pietrangeli, anzitutto, che fa del soggetto femminile il perno delle sue analisi, in un racconto d’Italia in cui il nuovo ciclo di produzione e i bisogni indotti dal “boom” non fanno in tempo a innestarsi sul tronco della società contadina. La Pina de La visita (1963) interpretata da Sandra Milo, e ancor più Adriana (Stefania Sandrelli) de Io la conoscevo bene (1965) sono inconsapevoli antesignane della rivoluzione sessuale iniziata col Sessantotto – beffardamente anno di morte del regista e che avrà nel figlio Paolo il suo principale cantore.

Stefania Sandrelli in Io la conoscevo bene. Fonte: Dailymotion

Proprio Sandrelli, con il suo candore naïf, il corpo esile e quasi tardo-adolescenziale, di una bellezza liliale ma maliziosa si afferma, insieme a Catherine Spaak, come emblema di una femminilità ancora fragile(l’Adriana di Pietrangeli è una creatura quasi smarrita) eppure consapevole della propria specificità, dell’urgenza di scoprire attraverso il corpo. Spaak, la cui immagine riposa per anni sul crinale tra “ninfetta” e giovane libera, incarna un’indipendenza che passa attraverso un’altra concezione del matrimonio (Adulterio all’italiana; Il marito è mio e l’ammazzo quando mi pare, entrambi di Pasquale Festa Campanile, 1966 – 1967) o un fascino conturbante di cui si ha contezza (La voglia matta di Luciano Salce, 1962; Il sorpasso di Dino Risi, 1962; Laparmigiana di Antonio Pietrangeli).

Catherine Spaak in Il sorpasso. Fonte: IMDb

Non meraviglia, ad ogni modo, che i segni più chiari del Soggetto Imprevisto si colgano su un altro piano, al di là della commedia, ovvero nel formalismo di Michelangelo Antonioni, in quell’incomunicabilità che plasma i volti, orienta i gesti. La sua tetralogia sulla “malattia dei sentimenti” porta in scena donneosservate nei loro comportamenti incongrui, all’apparenza sfasati, totalmente inconciliabili con il sistema patriarcale. Così, come nota ancora Cardone, «è possibile  leggere la scomparsa di Anna (Lea Massari) in L’avventura (1960), che si sottrae in modo definitivo e misterioso aldesiderio del fidanzato e alle aspettative del padre». O ancoraLidia (Jeanne Moreau) in La notte(1961), capace di rompere il diktatdella coppia rifiutandosi di celebrare il successo del compagno (Marcello Mastroianni). E ancora Giuliana(Monica Vitti) de Il deserto rosso(1964) che fugge il dovere di moglie e madre tradizionale e, pur nella nevrosi, riesamina i rapporti della sua vita, saggiando la pochezza della società contemporanea, già proiettata in un orizzonte distopico.

Lea Massari in L’avventura. Fonte: Wikipedia

È forse Vitti, come mostra ancora il suo ruolo in L’eclissi (1962) – una donna che fugge la stabilità relazionale per esplorare il terreno nomade dei sentimenti – a incarnare meglio di chiunque altra il Soggetto Imprevisto. Capace di sgretolare, da attrice, il dominio maschile della commedia all’italiana (prima donna nell’impero dei ‘colonnelli’ GassmanSordiTognazziManfredi), riesce a trasferire sullo schermo i cambiamenti di costume, gli enormi stravolgimenti dell’Italia del boom.

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Mora, scarmigliata, e ancora fulva nella swinging London solcata alla ricerca di colui che “la disonorò” (Carlo Giuffé), la sua Assunta Patanéfa il verso al Fefé Cefalù di Divorzio all’italiana (Pietro Germi, 1961) e la rende una “vestale moderna” (e già “in minigonna”, come scrive Ugo Salvatore su La Stampa Sera a proposito dell’interpretazione in Modesty Blase di Joseph Losey, 1966), portavoce di una femminilità in dialogo con la libertà sessuale, con un diverso modello di moglie e madre come rivela in Ti ho sposato per allegria di Luciano Salce (1967) e Io so che tu sai che io so (1982) di Alberto Sordi.

Monica Vitti in Modesty Blaise. Fonte: L’Unione Monregalese

«Antidoto al mito della donna-fanciulla» ha scritto Maurizio Liverani su Momento Sera del 22 novembre 1966. Un corpo in movimento, che scopre il potere e il piacere della moda (oltre alla pellicola di Salce è esemplare Fai in fretta ad uccidermi… ho freddo di Citto Maselli, 1967), la libertà del corpo esibito, l’autenticità di un soggetto in divenire.

Fonti

Lucia Cardone, Donne impreviste. Segni del desiderio femminile nel cinema italiano degli anni Sessanta, in “Cinergie – Il cinema e le arti”, 5, marzo 2014, pp. 23-33.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel (1970), in Id, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1974, pp. 60-61.
Dalila Missero, La voglia matta di esserci. Attrici, sessualità e ruoli femminili dalla commedia all’italiana al sexy, in Vaghe stelle Attrici del/nel cinema italiano, a cura di Lucia Cardone, Giovanna Maina, Stefania Rimini, Chiara Tognolotti, “Arabeschi”, 10, luglio-dicembre 2017, pp. 423-425.