Una canzone dove andare: la voce dell’Editore

Perché Una canzone dove andare, di Roberto Oliva, ha colpito tanto la redazione di Cultura e dintorni? Ve lo spiega l’Editore, in una recensione appassionatamente di parte.

LA VOCE DELL’EDITORE

“Questi vogliono sapere che significa avere vent’anni” recita l’incipit del romanzo “Una canzone dove andare” che segna l’esordio in ambito editoriale per i tipi di Cultura e dintorni Editore di Roberto Oliva, ci permettiamo di dire, senza tema di smentita, giovanissimo scrittore di sicuro talento e, ci auguriamo, di altrettanto luminoso successo. Se la giovane età è foriera di facili entusiasmi e illusioni è altresì vero che la vis creativa, così prorompente dal testo, l’energia insita in una spiccata verve che si traduce in una speciale, e rara, disinvoltura e proprietà di linguaggio lasciano pochi margini a dubbi su un felice esito della scrittura di questo giovane promettente scrittore. In realtà però l’età di ognuno di noi andrebbe svincolata da una fin troppo semplicistica e stringente logica dell’appartenenza che finisce inevitabilmente per incasellare ciascuno in facili categorie o pseudo tali. Sarebbe facile dunque definire la scrittura di Roberto Oliva come la felice espressione di un giovanilismo ricco di carica e di energia, particolare sì, come con termine fin troppo abusato si usa dire, ma pur sempre espressione fisiologica, dunque inevitabile della generazione a cui appartiene e, per ciò stesso, si potrebbe dire, o pensare implicitamente, destinata ad esaurirsi. E queste tipizzazioni, che portano a cucire addosso a chiunque il marchio della propria categoria di appartenenza, spesso mal si addicono al caso specifico, che si corre il rischio di sminuire o travisare come avviene per ogni facile generalizzazione, ed è quindi più che comprensibile il fastidio, o il disagio, provato, anche inconsciamente, da chi si sente definito, a volte indefinitamente, “giovane” come si trattasse di un particolare vantaggio esserlo, o di un alibi, una giustificazione, o, peggio, una colpa, un male necessario. Ciò detto, e lungi da ogni tentativo di classificazione, è indubbio il valore di quest’opera e proprio per la solidità che ne è alla base e mi riferisco al grado di consapevolezza, in primo luogo, e, non secondariamente, al livello di formazione dell’autore, all’esordio certamente ma già dotato di tutti quegli strumenti, grammaticali, lessicali, linguistici e formali, che gli consentono di dare corpo e sostanza a uno stile originale e personalissimo al quale occorre guardare con grande attenzione e simpatia. Si potrebbero a questo punto richiamare i grandi maestri della letteratura nordamericana, da Henry Miller a Truman Capote a John Fante a Charles Bukowski, come riferimenti ideali in termini di stile, ispirazione e approccio alla realtà ma sarebbe pura accademia e si correrebbe il rischio di allontanarsi dalle peculiarità di quest’opera e di questo autore. La fluidità della narrazione di “Una canzone dove andare” è infatti già di per sé spia rivelatrice di un agio e di una padronanza nell’uso della parola e del discorso solo apparentemente semplici e diretti. L’artificio dell’uso del dialogo tra l’autore e il lettore produce il risultato che quest’ultimo si senta coinvolto nella narrazione condotta con sapienza sul filo dell’autoironia. E sostenuta da questo armamentario, che si avvale anche di un interessante alternarsi tra discorso diretto e indiretto come di astuti melange temporali nella narrazione, l’opera si apre ai suoi diversi significati e alle sue diverse chiavi di lettura che vanno ben oltre le singole vicende narrate. Se da un lato non si può negare l’autobiografismo dell’opera dall’altro il romanzo è anche un affresco di più di un ambiente, di più di una realtà, di più di una generazione. E anzi è forse questa la vera chiave di lettura di “Una canzone dove andare”, quasi che il giovane autore avesse voluto realizzare uno specchio segreto nel quale soprattutto gli “adulti” potessero, loro malgrado, riconoscersi. L’esame di maturità come primo nodo di scambio, le successive difficili scelte riguardo al futuro di una generazione al bivio, troppo spesso sottovalutate nella loro portata come nelle loro conseguenze, la provincia, da evidenziare come topos narrativo e non solo, l’innestarsi di una grande passione come quella per la musica che diviene il leit motiv, il filo conduttore del romanzo stesso con le vicende anche esilaranti legate al giovane gruppo di musicisti alle prese con un ipotetico quanto improbabile trionfo finale e gli annosi temi con le relative problematiche di sempre, l’amore e l’amicizia, si rivelano essere gli archetipi di cui Roberto Oliva si serve per descrivere una realtà sempre più distopica e per parlare, senza retorica, che di certo non gli appartiene, ma senza dubbio, a mio avviso, con una personale struggente partecipazione emotiva, di, e a, un’umanità da sempre in crisi di valori e di senso.

Luca Carbonara

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