La nuova sfida dell’Antropocine. Per una visione e un sentire più consapevoli dell’Arte e della Bellezza. Intervista a Marino Midena

La nuova sfida dell’Antropocine

Per una visione e un sentire più consapevoli dell’Arte e della Bellezza

Intervista a Marino Midena

A cura di Luca Carbonara

Qual è la genesi della sua ultima fatica letteraria, edita da Altreconomia Edizioni, Antropocine, lo schermo verde. Manuale di percorsi e idee per un Italian Ecocinema opera polisemica e polisemantica, una sorta di manifesto programmatico, di compendio di valori, metavisioni, nuovi principi, percorsi e idee?

Marino Midena

Le occasioni di studio e di confronto sull’ambiente oggi sono in forte crescita. Il tema è diventato un argomento mainstream. Ma non è stato sempre così, soprattutto se si considera l’ambito nazionale. Il libro prende le mosse dalla considerazione di come, principalmente a partire dagli anni Novanta, si assista a un’imponente crescita di attenzione per un cinema che tratti di tematiche legate all’ecologia. Interesse che viene manifestato da autori, produzioni e spettatori e che trova rispondenza in un rilevante aumento di manifestazioni. Nascono, in Italia, i primi festival cinematografici tematici, come il CinemAmbiente di Torino, che si affiancano a un eco-filone di produzione cinematografica sempre più ricco e, in alcuni casi, attento anche sotto il profilo della filiera industriale alle istanze della sostenibilità (Green Set). Sono anche gli anni in cui, principalmente nel mondo anglosassone, prende corpo l’approccio Ecocritico grazie al lavoro della studiosa Cheryll Burgess Glotfelty, a cui va ascritto il merito di aver dato una forma canonica allo studio della relazione fra letteratura e ambiente fisico. Approccio che nel primo decennio del duemila viene esteso dalla letteratura al cinema, ovvero all’Ecocinema.  La crescita di attenzione che si registra su questi ambiti credo che richieda l’esigenza di avviare nuove considerazioni d’insieme.   Il libro nasce, così, dal desiderio di colmare un vuoto, ovvero l’assenza sugli scaffali di un’opera che proponga una rilettura, in primis, del nostro cinema, proponendo principi, percorsi e idee che legano ecologia e cinema. La novità quindi di “Antropocine” è quella di proporre, per la prima volta, in chiave sistematica e con un andamento diacronico, una rilettura in chiave “eco” di centovent’anni di cinema italiano, dalle origini sino ad oggi, per scoprire il pensiero ecologico dei padri dell’Italian cinema e delle ultime generazioni di autori.

Perché ha scelto per questa sua opera e la sua fruizione la forma di manuale?

Con “Antropocine” ho cercato di offrire un contributo al dibattito sulle tematiche ambientali e al contempo di stimolare, sul piano nazionale, lo studio di opere, autrici e autori “green” all’interno dei Film studies. Credo che oggi sia fondamentale affermare il ruolo dell’ecologia per la comprensione della realtà. Per questo spero che il volume possa risultare d’interesse per gli studiosi di cinema e dell’ambiente, ma anche, più in generale, ai cinefili e biofili, a tutti.

Parafrasando argutamente il termine prescelto, pur con tanti distinguo, perplessità e anche contrarietà, da parte degli stessi geologi, l’epoca geologica che stiamo vivendo, l’Antropocene, l’Antropocine sembra indicare, con rinnovata evocatività e chiarezza, la nuova frontiera della Settima Arte capace, proprio nella sua essenza artistica, di anticipare, leggere e dare voce a un nuovo rapporto e legame tra Uomo e Ambiente. Dal green set allo schermo verde è questa la nuova frontiera del Cinema come metavisione e metalinguaggio?

Credo di poter affermare che il dopo Chernobyl ha cambiato il rapporto del cinema con il tema ecologico nel senso di una più chiara consapevolezza. Voglio ricordare che nel 1986, lo stesso anno dell’incidente di Chernobyl, Ulrich Beck ha dato vita alla teoria della società del rischio e ha offerto un contributo essenziale nell’individuare le differenze che si sono venute a delineare nel concetto stesso di rischio (e in quello di paura e ansia) tra modernità e postmodernità. L’osservazione di questa presa di coscienza mi ha portato a inventare il neologismo “AntropoCine” rifacendomi chiaramente all’intuizione di Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica 1995 che nel 2000 coniò il termine Antropocene per indicare una nuova era geologica nella quale l’uomo è responsabile, con le sue predatorie attività, di profonde modificazioni territoriali, strutturali e climatiche. Il cinema post Chernobyl degli anni novanta e quello post Kyoto degli anni duemila può essere quindi individuato come l’“AntropoCine” ed è il cinema che racconta le modificazioni drammatiche dell’uomo all’ecosistema e all’uomo stesso, un racconto che impegna una nuova generazione di artisti e autori e che fotografa una coscienza epocale, che come sostiene lo storico Dipesh Chakrabarty, è necessariamente inquieta.

Quali sono le ragioni per le quali proprio in Italia, Paese fragile per eccellenza, soggetto alle più diverse calamità naturali, dai fenomeni franosi, a quelli sismici, vulcanici e idrogeologici, tarda così tanto ad affermarsi una cultura ambientalista ed ecologista che ponga, una volta e per sempre, al centro, come priorità assoluta, la difesa e la tutela dell’ambiente?

Una risposta in termini assoluti è complessa. Nel libro mi pongo questa domanda legandola al ritardo con cui il cinema italiano, negli anni ‘70, ha scoperto la questione ambientale sul grande schermo e sottolineo come possano essere molteplici le cause di questa miopia che ha rallentato una diffusa presa di coscienza della questione ecologica. Sono ragioni riconducibili a più ambiti culturali, sociali e politici: un eccessivo localismo delle contestazioni ambientali e la considerazione dell’associazionismo ambientale nascente come espressione di gruppi elitari; una comunità scientifica troppo proiettata ad assecondare una crescita malata; la rapida soluzione della crisi petrolifera del 1973 che contribuì a diffondere nella popolazione una non giustificata certezza nella capacità da parte del mondo della politica e della scienza di poter fronteggiare con successo eventuali crisi future; una contrarietà di fondo del movimento sindacale troppo proiettato alla cieca difesa del lavoro, anche di quello nocivo; un mondo della politica pressoché assente su queste tematiche. La critica al modello societario, in sostanza, ha trovato, nel cinema nazionale, espressione nelle tematiche concernenti il lavoro, il conflitto sociale, ma non l’ambiente in cui viviamo. Ha prevalso un modello culturale che ha messo l’uomo al centro del mondo con tutto l’esistente in natura, in funzione ancillare. Oggi non solo persiste una situazione di ritardo nella nostra capacità di lettura ecologica della società ma rischiamo di dover andare a ribadire quelle che ormai sembravano delle conquiste acquisite e questo arretramento è anche dovuto alla sterilità, se non proprio al fallimento, dell’azione internazionale di tutela ambientale.

Uomo, Natura, Ambiente trinomio cardine, cartina tornasole della stessa evoluzione umana attraverso il quale si può ripercorrere la Storia dell’Uomo, dalla visione che avevano i classici della Natura, a quella di Galileo, intrinsecamente legata alle leggi della geometria e della matematica, quindi all’essenza della pura Bellezza, alla visione meccanicistica, positivistica e romantica, non si possono non citare le Operette Morali di Leopardi e, in particolare, il Dialogo della natura e di un islandese, con la visione di una natura matrigna, come anche la filosofica ed esistenziale visione offerta dalla poesia dell’Infinito: qual è lo stato dell’arte? L’homo sapiens, già in grado di alterare e modificare l’ambiente e la stessa geografia del mondo che lo circonda, quasi al pari delle dinamiche geodinamiche, giunto al culmine della sua evoluzione, in grado com’è di proiettarsi in una realtà virtuale e di dare vita a un’intelligenza artificiale, in che rapporto è oggi con la Natura e con l’ambiente?

Siamo in un equilibrio precario. Se le nuove generazioni stanno trovando la forza di farsi carico dell’emergenza ambientale assistiamo, di contro, a un rafforzamento delle istanze di un certo modo di produrre e di creare ricchezza che si muove su coordinate opposte.  Il libro vuole essere un modesto contributo nel testimoniare come siamo di fronte alla necessità di un ripensamento circa il nostro rapporto con il mondo, all’esigenza di un riposizionamento sempre meno antropocentrico. L’“AntropoCine”, il cinema che racconta la nostra epoca, offre l’opportunità di vedere sullo schermo gli effetti e le conseguenze dei nostri comportamenti e prendere visione di come la nostra cultura ambientale presenti dei limiti evidenti. È il cinema dell’oggi, perché mai come adesso è fondamentale, da subito, un cambio di paradigma o accettare di essere i responsabili di un punto di non ritorno. L’arte può sicuramente aiutare, come sosteneva Ermanno Olmi, e sono sempre di più i film makers che vivono l’ecologia e la tutela ambientale come un perno del proprio percorso artistico. I nuovi autori sono spinti dal bisogno di raccontare l’Antropocene esattamente come i registi degli anni sessanta e settanta erano mossi dalla necessità di denunciare i guasti del boom economico. Nel libro parlo di “New Italian Green Generation” ovvero, una nuova generazione, che vanta tanto autori di film di finzione che documentaristi, che racconta e vive l’oggi “sentendolo” attraverso un nuovo modello di lettura, quello ecologico, della società.

In che modo e in che termini l’Ecocinema può educare l’uomo di oggi e di domani, i bambini, a una nuova poesia e a una nuova filosofia della visione come a una nuova concezione di sviluppo sostenibile?

Il mezzo cinematografico è uno strumento efficace per raccontare la crisi ambientale e sociale che stiamo vivendo, ma può anche avere un ruolo importante nella difesa stessa del pianeta grazie alla sua capacità di “parlare in profondità” alle persone. I film, infatti, sono “ponti di senso”, uno spazio del pensiero dove spettatore e opera s’incontrano.  L’Ecocinema mette in una relazione particolare uomo e la natura. Porta l’essere umano a ragionare sulla sua relazione con il mondo naturale, lo spinge a formulare considerazioni etiche sul proprio agire. Dobbiamo capire che il destino del pianeta è il nostro destino, che le sue storie sono le nostre storie. Con il libro sottolineo quindi che il cinema non è un mero fatto estetico e linguistico ma è immaginario e comunicazione e può dare, quindi, un contributo alla sostenibilità e alla tutela ecologica. Del resto la stessa Greta Thumberg ha dichiarato di essersi avvicinata alle tematiche green dopo la visione di un film e Margaret Atwood, l’autrice de “Il racconto dell’ancella”, ha dichiarato che si impara più da un film o da un romanzo che da un saggio scientifico.

Quali sono i suoi progetti e programmi futuri?

Il racconto dell’“Antropocine” dalla pagina scritta (accanto al libro, come giornalista da anni curo rubriche di cinema ambientali su alcune importanti testate) sta entrando nelle sale come appuntamento mensile con il pubblico romano e ha un respiro nazionale, grazie alla collaborazione con i due principali festival cinematografici di settore ovvero il CinemAmbiente di Torino e il Clorofilla Film Fest.

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