Sulle infinite strade di un camminante curioso. Intervista a Stefano Marinucci

Sulle infinite strade di un camminante curioso

Intervista a Stefano Marinucci

a cura di Luca Carbonara

Stefano Marinucci

Nato a Roma, il suo imprinting fatale, a dimostrazione di come e quanto proprio i natali influenzino in modo straordinariamente determinante, molto più di quanto si creda, la vita di ognuno di noi, lei è riuscito a sublimare le sue stesse origini rendendo a dir poco eclettica e polivalente la sua esistenza. Che cosa è significato per lei nascere a Roma?

Molte scritture affermano che questo immenso luogo metropolitano non è possibile definirlo, essendo una geografia schizofrenica, paradossale, talmente stratificata da risultare indecifrabile e incoerente. Ci sono stati numerosi tentativi per collocarla e descriverla, come fosse un teorema: dai margini, dal centro, con i diari o le pitture, attraverso le guide e le inchieste. La verità è che è una dimensione piena di fantasmi e Lemures. Tutto è già accaduto, tutto è già stato vaneggiato. Come si lamentava Flaiano: ormai a Roma non succede mai niente. Tuttavia questa città mi ha concesso generosamente un percorso letterario, oltre che umano e tecnico, che mi ha accompagnato in tanti anni di indagini ambientali e reportage narrativi. Lungo dorsali di un legame ormai indissolubile. Prima di questa consapevolezza c’erano bolle finzionali, annegate nell’afa secca degli antenati. Deformate, bagnate di gocce al cloro. Un’entità metropolitana che ha reso possibile progetti ricchi di contenuti, attraverso scenari imprevedibili. Altrimenti persi nelle remote notti d’inverno. Ora le nostre strade non si dividono, ma si trasformano e si rinnovano come in una osmotica geografia sentimental

Sempre facendo riferimento al suo personale percorso di vita che la vede legato, a un tempo e in un mutuo dialogo, alla scrittura da un lato e all’ambiente dall’altro, travolgenti passioni che è riuscito a coniugare in modo così mirabile ed efficace, lei ha sviluppato nell’uso dei cinque sensi, quanto mai indispensabili e imprescindibili chiavi di volta per chi come lei scrive e osserva, una particolare predisposizione, attitudine e capacità nell’ascolto diventando Tecnico Competente in Acustica della Regione Lazio. Quanto è importante e che cosa significa per lei “ascoltare”?

Esiste un’archeologia dei suoni come esiste una narrazione degli odori, un ambito olfattivo e un pensiero acustico. C’è una scuola di odori, dove équipe di esperti sono allenati a riconoscere sostanze odorigene, difficilmente quantificabili con gli strumenti. Ed esiste una disciplina relativa all’inquinamento acustico e alle misurazioni sonore. M’immagino di percorrere una strada antica, una via consolare, come la via Appia: chiudendo gli occhi, è possibile ascoltare i suoni dei carri sul basolato, i rumori delle ruote sulla pietra lavica. Oppure le voci dei soldati in marcia di guerra, o ancora le emissioni sonore di un corteo funebre con i lamenti delle prefiche che cantano inni al defunto, accompagnate da strumenti musicali. Come il protagonista di Lisbon Story se ne va in giro per Lisbona a raccogliere suoni per poter collocare un’immagine al proprio posto, quasi a proteggerla, io ho cercato di restituire una voce ai fiumi del presente. Per ritrovare il senso di un filo storico ormai interrotto e compromesso. E forse percorrere, attraversare o semplicemente ascoltare l’acqua di un fiume stabilisce quell’esperienza archetipica che ricorda l’inconscio collettivo. Anche se non ascoltare più i suoni dei fiumi è ben più doloroso che raccontarli. Il fiume Melfa, nel sopralluogo che ho effettuato in primavera, non ha nessun suono, nessun rumore, nessun ribollimento. Semplicemente perché non c’è più acqua che scorre.

È da poco uscita per le Edizioni Intra Moenia la sua ultima fatica letteraria Guida ai Fiumi di Roma. Storia, paesaggi e percorsi tra le antiche vie dell’acqua, una sorta di manifesto e insieme di dichiarazione d’intenti nel nome dell’amore e della salvaguardia della Natura e dell’Ambiente che ci circonda, nello specifico il Tevere e i suoi affluenti. Di più, un compendio dalle molteplici valenze e chiavi di lettura essendo questo prezioso volume, che ha il significativo valore aggiunto di essere illustrato, a un tempo una guida, appunto, ma anche un saggio dal carattere storico, critico, documentaristico, un affascinante romanzo d’avventura dai personaggi più eterogenei e vari, e, ancora, un racconto a tratti fantastico e irreale, un’inchiesta, che in quanto tale riesce ad essere puntuale, attenta, severa e, per lunghi tratti, non potrebbe del resto essere diversamente, spietata. Come è nata l’esigenza di scrivere questo libro e quanto tempo ha impiegato per raccogliere una simile mole di storie, dati, notizie e informazioni? Quanto l’ha coinvolta emotivamente?

Guida ai fiumi di Roma e dintorni è un’opera che nasce molti anni fa, lungo un torrente trasformato in canale di scolo. Dovevo campionare quell’acqua per alcuni monitoraggi partecipati, perché era in corso un’indagine. Vapori incorporei si mischiavano con la nebbia mattutina. Nessuno aveva la più pallida idea, tanto meno io, che era stata catturata l’acqua del fiume sacro Numico, fiume mitologico destinato ad accogliere i profughi troiani con il Palladio, e a dare origine a una nuova civiltà. A distanza di molto tempo, da quel fatidico prelievo, poco è cambiato. Abbiamo raccolto dati, costruito depuratori, istituito in molti casi i Contratti di Fiume, cioè uno degli strumenti più importanti degli ultimi anni: un tentativo per promuovere politiche volte a consolidare comunità fluviali resilienti, riparando e mitigando, almeno in parte, le pressioni dovute a decenni di urbanizzazione sregolata. Ma per il Fosso di Pratica non c’è stato ancora nessuno strumento di tutela. Ogni tanto, nelle sue acque torbide, appare un guazzabuglio di sostanze odorigene, che si riversano direttamente sul luogo del mitico approdo. L’ultimo brano del torrente attraversa piccole attività commerciali, un aeroporto militare, palazzine abitative scolorite. Una volta era un sentiero sacro. Ai tempi di oggi dense esalazioni si alzano dalle sue acque. Ma non sono vapori legati a culti religiosi. Piuttosto sembrano pertinenti con qualche scarico abusivo. Benvenuti a Torvaianica, diceva un cartello. Fiume Numicus oggi fosso di Pratica di Mare. Qui approdò Enea.

Dalle (antiche) strade, di cui si è occupato in un recente saggio sulla Collatina Antica, alle (antiche) vie d’acqua il passaggio in realtà è breve essendo state queste ultime soprattutto nell’antichità fondamentali vie di trasporto e di comunicazione. Dall’antica Mesopotamia, all’antico Egitto a Roma le vie d’acqua hanno da sempre rappresentato il cuore nevralgico delle civiltà che le adoravano come divinità. E i corsi d’acqua con le loro portate, le loro energie e capacità di modellare e trasformare i territori che attraversavano sono da sempre stati i principali artefici dell’aspetto morfologico assunto nel tempo dalle terre attraversate. Questo almeno fino al fatale e distruttivo avvento dell’homo sapiens. Che cosa è rimasto oggi della struggente bellezza della campagna romana fonte di ispirazione per generazioni di scrittori, poeti, pittori, registi e attori?

Può sembrare paradossale, in un contesto così fortemente antropizzato, inquinato, devastato: eppure sono rimaste bellezze incredibili, attraversate dai corsi d’acqua narrati nel libro. Sono queste oasi e questi ecosistemi intatti che mi hanno spinto a documentare narrativamente i corsi d’acqua della Roma antica e dei suoi meravigliosi dintorni. Le province di Viterbo, Latina, Rieti e Frosinone svelano panorami ancora integri, da salvaguardare e tutelare, perché non soltanto ricchi di storia e cultura archeologica, ma perché consentono di mitigare le fonti d’inquinamento circostanti. Penso alle riserve naturalistiche nei pressi del fiume Arrone, ricche di biodiversità e fauna selvatica. O alla valle dell’Aniene, alle gole del Farfa, all’Agro Pontino. Ogni fiume ha una sua peculiarità, un suo essere ecosistema, oltre ad avere una storia millenaria. Infatti abbiamo cercato di inserire, al termine di ogni racconto fluviale, un itinerario possibile, per poter gustare e approfondire le ultime vestigia di paesaggi leggendari. Alcuni percorsi nascono dalla necessità di riscoprire quei dislivelli che ci hanno consentito di riflettere sull’ecologia degli spazi fluviali in termini di culture fra i popoli.

Il saggio ha la peculiarità di personalizzare quasi e caratterizzare ogni singolo corso d’acqua affluente minore del corso madre, il Tevere, legandolo a fatti storici, personaggi, caratteri peculiari, e non solo, lei propone in queste pagine itinerari differenziati in base alle differenti stagioni dell’anno. Perché questa particolare scelta e questa differenziazione?

Le acque di un fiume risplendono al luccicare dei coleotteri, si ghiacciano nella fredda stagione invernale, oppure vengono circondati dalle gialle foglie autunnali. È possibile una narrazione legata al ciclo naturale, al senso della natura più arcaica e profonda, che in qualche modo connota la dimensione di un fiume. Ma è possibile riconoscere anche un’altra entità legata a un corso d’acqua, che probabilmente ha a che fare con un genius loci quasi inspiegabile. Un sotto testo ci dice che a luglio morivano decine di vacche lungo il fiume Sacco, in un’estate torrida di tanti anni fa. Che in autunno i sicari di Antonio raggiungevano Cicerone: fu un giovane liberto, educato proprio dal politico romano nelle arti e nelle scienze, a rivelare che la lettiga veniva trasportata per i sentieri ombreggiati del bosco, nei pressi del fiume Astura. La ciclicità della natura sembra raccontarci, attraverso lo scorrere delle acque, un’altra versione della storia, una verità puntuale e per questo definitiva, consacrata per sempre a un determinato fiume.

Pensando al Gran Tour, che cosa resta oggi di quel mondo ancora incantato e di quella possibilità di visione? Siamo davvero noi gli ultimi epigoni, i distratti e maldestri testimoni di una bellezza tanto antica quanto irresistibile e fragile? Il punto di non ritorno è stato oltrepassato, che cosa resta dunque da fare?

Mi viene in mente il fiume Fibreno, che nasce nella provincia di Frosinone e confluisce nel fiume Liri: insieme ad altri affluenti, queste acque giungeranno nel territorio di Gaeta, nella provincia di Latina. Sembra essere una metafora perfetta di come attraverso un sistema idrografico complesso come quello laziale, è possibile veicolare messaggi di comunanza tra culture e solidarietà. In pochi termini, proteggere geografie ed ecosistemi: l’isola galleggiante del lago di Posta Fibreno era già ricordata da Plinio, e ancora oggi questa Riserva naturale ammalia e seduce il viaggiatore. Si tratta di una zona umida caratterizzata da porzioni di bosco igrofilo con una importante valenza geologica. Resiste nonostante tutto.

Quali sono i suoi programmi futuri?

Stiamo lavorando a un sinergico progetto di denuncia e svelamento di luoghi inspiegabilmente ostruiti. Non posso aggiungere altro: si tratta di un lavoro che coinvolge diverse discipline, medicina del lavoro, ambiente, storia, archeologia. Un percorso ibrido, che sembra avere a che fare direttamente con il nostro subconscio e le nostre metamorfosi più misteriose.

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