Gianni Macè
Il suonatore di fagotto
I lampi incrociati dei neon e il chiarore delle luminarie disegnate a stelle punteggiate, tingevano le cose e le persone con i colori surreali ed effimeri delle feste natalizie. Il tarchiato direttore del piccolo ufficio postale periferico, dopo aver chiuso la porta d’accesso con la quotidiana petulante solerzia, contò i suoi impiegati, schierandoli uno accanto all’altro con le spalle rivolte ai grandi e vivaci cartelloni pubblicitari murali, dai quali sembrava fossero appena saltati fuori come cartoni che, accortisi del luogo alieno in cui erano capitati, attoniti, stavano decidendo se fare o meno una repentina marcia indietro. – Grazie per queste ore di lavoro straordinario che avete concesso all’ufficio e… Buon Natale a tutti – cantilenò, facendo scivolare in alto la tonalità della voce, accorgimento che conferì una più marcata gioiosità a quell’augurio usuale. Dopo averlo fatto roteare in aria con la catenella argentata a cui era appeso, ripose il mazzo di chiavi che, come a un naturale richiamo, s’infilò nella tasca dei pantaloni. Con rapidi movimenti delle mani, piccole e gonfie, accompagnati da strani e quasi impercettibili movimenti delle labbra, appena sovrastate da baffetti radi, s’abbottonò con una certa premura il cappotto che, sebbene fosse piuttosto ampio in vita, non riusciva tuttavia a celare l’ampia mole del suo corpo, simile a una boa quasi perfetta. Con un ultimo cenno del capo l’uomo s’allontanò, ciondolando tra la folla che alla rinfusa occupava il marciapiedi, nel frenetico andirivieni tra i negozi bellamente colorati e addobbati per l’occasione. A quel punto, l’ordinata disposizione dei subalterni si sciolse immediatamente. Solo Amedeo restò fermo nella medesima posizione, assorto e con gli occhi malinconicamente appesi a mezz’aria insieme alle stelle delle luminarie che, dondolando lievemente alla stessa altezza, sembravano non stare né in cielo né in terra. A riscuoterlo fu la voce stridula ma cortese di Camilla, la sua collega di lavoro. (segue)