La poesia di Francesca Favaro: i colori nello sguardo

Mi capita, talvolta, quando chiudo un libro che mi ha sorpresa per stile e modello, di guardarmi istintivamente le mani, come se avessi la sensazione che qualche parola, qualche frase, qualche immagine si sia impressa anche sulla pelle, tra le dita e non solo negli occhi. È successo di nuovo quando ho terminato di leggere due singolari libri di poesia di Francesca Favaro, rispettivamente, Il destino di Ettore. Versi e prose liriche (Padova, Cleup, 2022) e Cercando voci azzurre (Pisa, Giardini editori e stampatori, 2023) due opere che definirei consequenziali, ma anche dissimili per impianto e impasto.

 Il primo, caratterizzato da una originale commistione tra prosa e verso, in una consecutio che si compenetra nelle movenze della struttura, riunisce pagine scritte nell’arco di una decina d’anni, che gravitano attorno al fulcro costante del mito classico riletto, rivisitato con la sensibilità di chi vi riscopre tematiche, scelte e vicissitudini proprie di creature immortali nella mortalità fragile dei nostri giorni. Una prova originale e intensa che sorprende e affascina per la sapienza degli accostamenti e per la delicatezza delle immagini che si frangono, ora delicate ora forti, su un «piccolo cielo capovolto» che palpita e respira, per evidenziare che «sotto la stella del sacrificio e del dovere» il nostro destino consiste «in una rinuncia a sé stessi che a sé stessi è fedeltà.»

          Una raccolta che sembra presagire l’innesto naturale nella successiva, a partire dalla ciclicità del colore azzurro, sul «flauto» che si scurisce, nel «lievissimo orlo d’azzurro» del glicine, nella «goccia azzurra» della lacrima di Dio nascosta «entro una piega del cosmo». Un colore che diventa nostalgia, percezione dolorosa di un’assenza e di una mancanza, immagine di una ricerca che ci stupisce avvolgendoci dentro un’intimità sommessa e vibrante di voci, dove sembra rivelarsi appieno l’anima dei poeti che «donano ai cieli e alle acque, al volto selvoso e fiorito della terra, la melodia filtrata dal loro sentire e non è detto che cieli, mari e terre non si rallegrino di ascoltare se stessi, così ri-cantati in musica di poesia, e non se ne stupiscano, euforici, rabbrividenti.»

Con quest’opera, la poesia di Francesca Favaro si staglia, a mio avviso, tra le testimonianze più vive e vere di questi anni; la sua parola ha echi e suoni che disegnano un percorso di destrezza nel ritmo, nelle cadenze delle paronomasie, delle rime al mezzo e nelle assonanze diffuse, ma che rivela soprattutto una ricerca che diventa colloquio con se stessa e con chi la legge ispirando commozione a ogni frangente.

Tre le sezioni, La luna e noi; Cercando voci azzurre; Su antiche orme, ma nella sorprendente e visibile continuità dei temi e delle figure si svela una maturità compositiva che ammalia per originalità e sensibilità.

In primis il colloquio con la luna, misteriosa e «scevra di illusioni», «fata madrina»  «dagli occhi di giada»  a cui chiedere ragione di un’appartenenza indecifrabile «nelle notti tese dell’inquietudine». Vibra di seguito l’azzurro di «un tempo breve”, la luce consapevole di pensieri, sentimenti, sogni (mi verrebbe da dire: che si sconta vivendo), per consolarci di «aver troppo guardato», con sgomento, il vuoto.

Un vuoto che invoca la parola nativa del Padre che ha detto di amarci anche se ai suoi occhi siamo «perduti» soprattutto quando ci nascondiamo dietro a un «non”, a tutto quello che non abbiamo «osato, né patito, né pianto»; ma anche stare ai margini può diventare una strenua bellezza, per assaporare il silenzio che si rivela somma di colori, come il bianco che ci inganna. Così l’inverno, quando «la bella neve scende lenta» e subito si scioglie, simile a un addio, non rappresenta una sola stagione, neppure un rimpianto, ma una sosta, una pausa in attesa che il seme «nella zolla» possa sbocciare ancora. Felice.

Si scopre anche un’anima di donna in questi versi: nella dedica a un Tu che è tepore nel cuore, in quella a mille e altre Sherazade che respingono vibranti «il giogo della sudditanza» e in quella che scruta gli occhi di bambino per attraversare il velo azzurro del mondo che si scolora, trafitto dall’arsura insostenibile dell’ingiustizia.

L’ultima sezione torna a restituire voce azzurra, voce nuova, alle figure della classicità, rileggendo Esiodo, il saggio di Ascra, Orazio dei Carmina (l’invernale malinconia della fonte Bandusia, splendidior vitro), Ibico cantore antico e immortale, Afrodite, Aurora cantata da Saffo, Alcmane e la sua poesia corale «come una preghiera» e lo strazio delle Sirene, costrette a non cantare più , «vinte dal naufrago itacese».

Una conclusione che appare come un monito e che conferma, una volta ancora la volontà, di spargere voci azzurre lasciandole fluire dall’anima quando riesce a sciogliersi in poesia.

Per questo, leggendo, me le sono scoperte davvero madide e “rabbrividenti” le mani, pervase di una malinconia che diventa fonte di una rinascita che oltrepassa la fatica di un riconoscimento.

Con grande efficacia.

Saveria Chemotti

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L’apodittica nemesi di un “cuore di serpente”. Intervista a Giovanni Montini

L’apodittica nemesi di un cuore di serpente

Intervista a Giovanni Montini

a cura di Luca Carbonara

Lo scrittore Giovanni Montini

Leggendo la sua biografia e le principali tappe che hanno scandito e segnato il suo personale percorso di vita e di formazione si evince una spiccata quanto vivace personalità tutta volta alla conoscenza dell’uomo nelle sue caratteristiche di “animale” sociale eternamente scisso nella perenne dicotomia dell’essere e dell’apparire. Come nasce in lei l’interesse a indagare l’uomo, meglio l’animo umano, nel suo essere a un tempo puro istinto, fredda ragione e inesauribile fucina di sentimenti?

La copertina del romanzo di Giovanni Montini Cuore di serpente

L’umanità, nelle sue fragilità e contraddizioni, rimane un campo d’indagine straordinario. Dietro un’esitazione o uno sguardo possono nascondersi sogni, segreti, ambizioni, fallimenti. Tutto nasce da qui, dal desiderio di scrutare l’animo in ogni sua sfaccettatura. Ciò mi consente anche di calarmi in situazioni che nel mio quotidiano non potrebbero mai accadere. E la scrittura rimane uno strumento eccezionale nel far convergere tante emozioni in una pagina.

Cuore di serpente (Bertoni Editore, 2022), il suo terzo romanzo, per la ponderosità della trattazione e la varietà e complessità dei temi e degli argomenti trattati appare essere come l’opera della sua più piena maturità sia come uomo che come autore. Qual è stata la genesi di quest’opera e, prima ancora, come nasce in lei la passione per la scrittura?

Cuore di serpente nasce durante il primo lockdown, nel marzo del 2020. In quei giorni di smarrimento e inquietudine, la storia ha cominciato a prendere forma. Quel senso di claustrofobia avvertito su di me, è stato riversato in parte sui protagonisti: anche loro si muovono per la maggior parte del tempo al chiuso, nella villa del Circeo. Volevo scrivere un romanzo sulla passione e su quali scelte, a volte dolorose e imprevedibili, può farci compiere e fino a quale punto siamo disposti a rinunciare o a pretendere nel nome dei sentimenti.

Più che una passione, per me scrivere è un vero e proprio matrimonio, con le sue regole, rinunce, ripicche, slanci. A volte la odio e vorrei separarmene, non pensarci più. Altre invece non riesco a farne a meno, rivelandosi irrinunciabile. Come una vecchia coppia di coniugi che si amano e si detestano ma che non si separerebbero mai. 

Il suo ultimo romanzo chiama in causa una serie di archetipi, in primis il male, il maligno da sempre di gran lunga più attrattivi e seduttivi del bene, di simboli e di topos metaletterari che concorrono, attraverso gli escamotage come gli strumenti e le invenzioni offerti e messi a disposizione dalla scrittura narrativa, a fotografare l’uomo, e, per estensione, l’umanità, scandagliandone, in particolare, come un palombaro dell’anima umana, i suoi lati più oscuri, i recessi e gli abissi più nascosti e profondi. Da dove nasce l’impellenza di questa sua istanza e/o necessità?

Mi piaceva l’idea di analizzare quel sottile e labile confine tra il bene e il male. Cosa veramente può essere considerato malvagio e cosa no. Descrivere le pulsioni, anche quelle più segrete e inconfessabili, per mostrarne la meschinità. Sondare l’amicizia nelle sue infinite combinazioni, rivelandone i limiti e le contraddizioni. Il punto di partenza è stato quello di scrivere un romanzo ‘cattivo’.

Cuore di serpente, un romanzo fortemente, anzi quasi ossessivamente, visivo, cinematografico, come taglio e come scrittura, affonda le sue radici e vede nella piscina il suo topos per eccellenza (chiarissimo il voluto riferimento e richiamo all’illustre precedente, il celebre film La piscina di Jaques Deray). Attorno a questo luogo simbolo di così forte evocatività si ritrovano a ruotare i fantasmi della borghesia, della sua mortifera noia, della sua agonia, delle sue frustrazioni, delle sue più turpi perversioni, e una fredda e pesante aria di morte. Perché la scelta di quel decennio tragico degli anni Settanta del secolo scorso come palcoscenico storico e ideale dei protagonisti del suo romanzo e davvero, come fa dire a uno dei protagonisti, “il vero amore non può essere che tragico”?

Mi tentava di scrivere una storia in cui non ci fossero le contaminazioni dei telefonini, dei social, di internet. La scelta è caduta sugli anni Settanta perché è un periodo di forti contrasti, incoerenze. Pensiamo al cinema di quel periodo. Da una parte Bertolucci, Bellocchio, la Cavani, con i loro lavori controversi, illuminanti, coraggiosi. Dall’altra una produzione cinematografica giocosa, scollacciata, boccaccesca. Un paese diviso. Tutto ciò ho cercato di riversarlo nel romanzo. Le forti differenze si ripercuotono sui personaggi, determinandone le scelte e i pensieri.

Giulio, Alberto, Gabriele, Francesca, Andrea, Jonathan, Peter, gli umani, umanissimi protagonisti del romanzo della sua piena maturità nella dinamica come nell’intreccio delle loro parabole esistenziali richiamano l’archetipo dell’ospite inatteso, esteriore e interiore, quell’elemento scandalosamente perturbante che sconvolgerà per sempre e nel modo più tragico, come mina deflagrante, le loro esistenze. Riferimenti i paradigmi rappresentati da un lato dall’ospite inatteso di Cocktail Party di T. S. Eliot, dall’altro dall’elemento perturbante della deflagrazione delle vite di tutti i protagonisti di Teorema di Pasolini provocata dalla perdita dell’incarnazione dell’amore e del desiderio. Che cosa sottintende questa figura cardine e misteriosa, impersonata nel suo romanzo dal giovane Gabriele, dal cuore di serpente, e a quale ineluttabile destino dell’uomo rimanda? C’è in ognuno di noi un ospite inatteso, un sordido e oscuro richiamo nei recessi più nascosti della nostra anima?

Ognuno di noi nasconde un ospite inatteso o ne attende uno. È la parte più oscura del nostro intimo, quella più recondita, ma che maggiormente ci affascina. È colui che ci obbliga ad affacciarci sull’abisso, per sentirne la paura. Spesso lo identifichiamo nell’altro, nel diverso, nello straniero. Un colpevole a cui dare un nome. Gabriele è il personaggio meno sinistro del romanzo, oserei definirlo il più sincero. Custodisce un segreto e ha un compito da portare a termine: ristabilire un ordine, il suo ordine. La sua ambiguità, la ferocia, il manipolare le persone, hanno un unico fine. A differenza degli adulti, ingabbiati in un ruolo, e consapevoli delle loro mancanze e nefandezze ma ipocriti nel rivelarle.

A quale dei personaggi così bene tratteggiati e tipizzati sente di somigliare di più?

Tutti i personaggi mi appartengono e custodiscono una parte di me. Ho condensato in ciascuno di loro qualcosa di mio. La scrittura è un mezzo che ti consente di poterlo fare.

Quale può o deve essere oggi il ruolo dello scrittore e, per estensione, dell’intellettuale?

La funzione dello scrittore, a mio avviso, è quella di sollevare domande, indurre alla riflessione, anche a costo di sostenere posizioni scomode. Portare avanti idee a volte controcorrenti. Non fermandosi mai alle apparenze ma osservando con occhio critico e oggettivo ciò che lo circonda.

Quali sono i suoi programmi futuri?

Sto terminando un romanzo che parla di un argomento scomodo, di cui non vuole parlare nessuno: l’utilizzo di sostanze stupefacenti nel sesso.

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“Mani di sarta” il primo spettacolo teatrale su un disastro ambientale dimenticato

MANI DI SARTA

di e con Andrea Di Palma

testo di Andrea Di Palma e Federica Ponza

musiche originali Francesco Cellitti

con il sostegno del Festival Montagne Racconta

Produzione Compagnia MadeInTerraneo

Fortezza Est 23-24-25 marzo 2023

Ricordo mia nonna. Il rumore della sua macchina da cucire, le sue favole, gli abiti che faceva e quei quattro vestiti lasciati interrotti, mai finiti: “qua se fanno più funerali che matrimoni, ormai”. E forse, ora, è il momento di finirli questi vestiti, nonna…”

Finalista al premio“Dante Cappelletti” 2021 e selezionato al Festival Strabismi 2022, debutta per la prima volta in forma completa a Fortezza Est dal 23 al 25 marzo 2023 “Mani di sarta” di e con Andrea Di Palma, autore insieme a Federica Ponza di un testo sincero e commovente che partendo dalla storia personale della nonna dell’autore, racconta uno spaccato dolente della storia recente d’Italia: l’inquinamento ambientale della Valle del Sacco nel cuore della Ciociaria.

Le mani di sarta sanno unire, cucire, legare; un filo e un ago fra le dita ti prendono le misure di pelle e cuore. nonna Maria ha preso le misure di pelle e cuore di tutto il paese, se ad Anagni volevi un vestito da sposa, dovevi andare da Maria. E su quei vestiti da sposa ha cucito la sua storia personale con tutte le stoffe di vita che incontrava. Dalla finestra affianco alla sua macchina da cucire, le scorreva davanti una Valle del Sacco a cui tutti prendevano le misure e tutti disegnavano un vestito nuovo. Con l’Italia che dettava la moda e la Ciociaria che la seguiva. Quella Ciociaria che oggi sembra una sposa abbandonata sull’altare: terra avvelenata con un fiume pieno di schiuma, terra che era proprietà, patrimonio ed eredità; terra che era ricordi e famiglia; terra croce e delizia; terra che era orologio e calendario; terra che veniva lavorata e insieme lavorava dentro.

Perché? Perché c’è stato un cambio di identità profondo di questa terra che da madre in grado di dare la vita, nutrire, far crescere, prosperare è diventata suo malgrado figlicida, sterile, avvelenata, portatrice di morte. Una terra che ha anche un nome diverso ormai: SIN, Sito di Interesse Nazionale, un bel nome per una terra che puzza.

Mani di Sarta” è la personale ricerca di Andrea Di Palma di una nuova memoria di questa terra, di queste colline a sud di Roma, che si alzano lungo tutto un fiumiciattolo chiamato Sacco. Un dialogo intimo tra lui e la nonna Maria, su quanto successo in questa Valle del Sacco dagli anni Cinquanta fino a oggi, un dialogo tra i vivi e i morti, per ricostruire il volto di questo territorio e provare a rammendare quegli squarci profondi che l’hanno stravolta così intimamente. “Mani di Sarta” è anche il primo spettacolo teatrale che racconta un disastro ambientale, quello della Valle del Sacco, che fino ad oggi ha potuto contare su poca rilevanza mediatica, politica e d’opinione per una vicenda di enorme portata, interessando ben 70 km e 19 comuni diversi del Centro Italia.

MANI DI SARTA

23-24-25 marzo 2023 – Fortezza Est

via Francesco Laparelli, 62 Roma – Tor Pignattara

Orario Spettacoli giov- ven-sab ore 20:30

biglietto unico 12.00€

www.fortezzaest.com

info e prenotazioni mail prenotazionifortezzaest@gmail.com

biglietti online urly.it/3t41q

| whatsapp 329.8027943| 349.4356219

Ufficio Stampa: Eleonora Turco eleonoraturco.press@gmail,com 329.80.279.43

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Un libro un film. Appuntamento il 10 marzo a Fontana Liri con il saggio edito da Cultura e dintorni Editore “Profumo di donna. Un percorso di ri-nascita e ri-conoscenza”

Il 10 marzo p.v. alle ore 17.00 a Fontana Liri (Fr) presso il Centro Polifunzionale di Via Fiume presentazione del volume edito da Cultura e dintorni Editore “Profumo di donna. Un percorso di rinascita e riconoscenza” di Gerry Guida e Fabio Melelli. Tra gli altri interverranno il sindaco di Fontana Liri e Gerry Guida, coautore dell’opera

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I corsi di scrittura di critica cinematografica e di critica letteraria organizzati da Cultura e dintorni Editore

Nell’ambito di un più ampio percorso di ricerca e di declinazione dei linguaggi e delle relative modalità di espressione la Casa Editrice Cultura e dintorni organizza i primi Corsi di Scrittura di Critica Letteraria e di Critica Cinematografica. I corsi… https://www.culturaedintorni.it/wp/i-corsi-di-scrittura-di-critica-cinematografica-e-di-critica-letteraria-organizzati-da-cultura-e-dintorni-editore

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Il nuovo numero del periodico di informazione culturale “Cultura e dintorni” Numero 30/31

In uscita il nuovo numero del nostro periodico di informazione culturale “Cultura e dintorni” Numero 30/31. Come sempre si tratta del frutto di un annoso lavoro di indagine, approfondimento e ricerca nei variegati mondi della Cultura e dell’Arte, gli unici veri antidoti, le uniche fonti salvifiche cui abbeverarsi in tempi sempre più bui e oscuri di crisi della società e della nostra stessa civiltà. Orgogliosi, in particolare, dell’intervista, in apertura, al prof. Luciano Canfora, filologo classico di fama internazionale e, all’interno, dell’intervista ad Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura 2022. Arricchiscono il numero le interviste agli scrittori Roberto Gramiccia, Alessandro Seveso e a Fabio Stassi e le rubriche dedicate alla Filosofia della visione, alle Questioni Letterarie, al Cinema, alla Poesia, alle recensioni, a “Morel, voci dall’isola” e ai racconti. Un impegno e un sacrificio i nostri, necessari e indispensabili quando ci si occupa di Cultura, che rivendichiamo con orgoglio e soddisfazione con l’auspicio che ciò possa contribuire a una maggiore comune consapevolezza.

Per info su ordini e disponibilità scrivere a: redazione@culturaedintorni.it

La copertina del nuovo numero del periodico di informazione culturale “Cultura e dintorni” Numero 30/31
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Di prossima uscita la nuova edizione del volume “Emozioni private. Lucio Battisti, una biografia psicologica” di Amalia Mancini. Un importante tributo in occasione dell’ottantantesimo compleanno del grande musicista

Roma, 9 febbraio 2023 – Con grande emozione si annuncia l’imminente pubblicazione della Nuova Edizione Ampliata del libro Emozioni Private. Lucio Battisti, una biografia psicologica di Amalia Mancini, edita da Arcana. In occasione degli ottanta anni di Lucio Battisti, la scrittrice e giornalista ci conduce in un viaggio esclusivo attraverso la vita e l’opera di uno dei musicisti italiani più amati di sempre, esplorando gli aspetti più intimi e personali.

Questa seconda edizione, che uscirà prima del 5 marzo, è arricchita con ulteriori interviste esclusive a personaggi che hanno conosciuto Lucio Battisti personalmente, amici stretti, oltre a Mogol, che hanno fornito preziose informazioni per una conoscenza ancora più approfondita del cantante. Il libro, inoltre, include materiale inedito tra cui foto di Lucio Battisti gentilmente concesse da Mario Lavezzi etc etc. Il libro sta già attirando molto interesse e sono state proposte diverse presentazioni in varie location. Tutto ciò non fa che dimostrare la qualità e lo spessore del contenuto come la passione dell’autrice per la vita e l’opera di Lucio Battisti.

Quest’opera vuole essere un tributo sentito e appassionato a Lucio Battisti e, insieme, un invito ad esplorare i suoi aspetti più personali e intimi attraverso la penna di Amalia Mancini. Da non perdere come occasione per immergersi nella vita e nell’opera di uno dei più grandi musicisti italiani di tutti i tempi!

La copertina del volume Emozioni private di Amalia Mancini
La giornalista e scrittrice Amalia Mancini

Emozioni private è un testo prezioso nella sterminata bibliografia battistiana. La vita e le opere del grande artista scomparso venticinque anni fa sono oggetto di un’accuratissima ricerca di informazioni condotta attraverso i giudizi di chi lo ha frequentato più da vicino, a cominciare da Mogol, che in una lunga conversazione con l’autrice svela molti segreti della sua amicizia e della sua fertile collaborazione con Lucio.

La ricerca effettuata da Amalia Mancini mette in luce una personalità che nei suoi tratti esteriori e nei suoi discreti comportamenti di uomo di spettacolo non manifestava a tutti la sua intima essenza, così bene trasmessa invece nella sua musica. Già nella prima parte del volume sono posti in rilievo quei temi che verranno poi ripercorsi nella seconda parte, che analizza le singole opere: il tema dell’amore, della malinconia, della libertà, della natura, dell’ecologia, della paura, dell’alienazione, della solitudine, del timore di una catastrofe naturale e umana. «Ascoltare significa qualcosa» diceva Lucio, e riascoltare può essere un’operazione stimolante e coinvolgente. Questo libro, perciò, stimola e coinvolge trascinando a sua volta il lettore che viene sospinto a risentire parole e musica dell’opera di Lucio Battisti, immortale nel suono e nel ricordo. La seconda edizione di questo libro è un’occasione imperdibile per riscoprire questa lettura attraverso le voci degli amici e collaboratori di Lucio, preziose fonti di informazioni per la sua conoscenza.

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“Come ciò a cui tutto tende” di Valentina Beotti e Federica Principi in prima assoluta a Fortezza Est dal 16 al 18 febbraio: in scena una riflessione sugli effetti del surriscaldamento climatico per interrogarsi sul comportamento dell’essere umano di fronte ai concetti di bene e male

Come ciò a cui tutto tende

di Valentina Beotti e Federica Principi

con Valentina Beotti

musiche e sound design Federica Principi

realizzato con il sostegno di Fortezza Est – residenza artistica.

16-17-18 Febbraio 2023

Fortezza Est via Francesco Laparelli, 62 Roma

Ogni tecnica e ogni ricerca, come pure ogni azione e ogni scelta, tendono a un qualche bene; perciò il bene è stato giustamente definito come ciò a cui tutto tende. (Aristotele, Etica Nicomachea, Libro I, 1094a)

Debutta in prima assoluta a Fortezza Est dal 16 al 18 febbraio 2023 “Come ciò a cui tutto tende” un progetto di ricerca teatrale di Valentina Beotti e Federica Principi sul comportamento pratico dell’essere umano di fronte ai concetti di bene e male. Il progetto prende spunto dagli effetti del surriscaldamento climatico per interrogarsi sull’impatto delle scelte individuali all’interno del sistema complesso di cui facciamo parte. Il racconto inizia da un evento accaduto nel 2020, quando 378 balene grigie del Pacifico settentrionale si arenano senza vita sulle coste tra Messico, California e Alaska. La quasi totalità degli animali è morta di fame. Un evento analogo si era già verificato vent’anni prima ma questa volta il numero dei cetacei coinvolti risulta più che raddoppiato. La balena comunica attraverso un linguaggio estremamente sofisticato la cui codifica ad oggi risulta quasi del tutto sconosciuta all’uomo. Quello che è noto all’uomo è la sua predisposizione ad un comportamento sociale inclusivo, la capacità di manifestare sentimenti e la predisposizione ad empatizzare anche con individui non appartenenti alla sua specie.

Le balene occupano il primo gradino della catena alimentare. In quanto grandi migratori sono considerate “sentinelle” per lo stato di salute dell’intero ecosistema e ricoprono un ruolo fondamentale per la conservazione del pianeta. L’unico pericolo alla loro sopravvivenza è rappresentato dall’uomo, ma dalla sopravvivenza delle balene dipende la sopravvivenza dell’uomo e da qui nasce la domanda a cui abbiamo cercato di dare corpo in scena: Quello che riguarda te riguarda anche me? E se è vero il principio etico aristotelico, Per chi è il bene a cui stiamo tendendo?

In un gioco di rimandi dove i confini del racconto confondono l’identità di specie, in scena una coscienza ibrida, donna/balena, racconta la sua fine e forse anche la nostra.

Come ciò a cui tutto tende”

16-17-18 febbraio 2023 – Fortezza Est

via Francesco Laparelli, 62 Roma – Tor Pignattara

Orario Spettacoli giov- ven-sab ore 20:30

biglietto unico 12.00€

www.fortezzaest.com

info e prenotazioni mail prenotazionifortezzaest@gmail.com

| whatsapp 329.8027943| 349.4356219

biglietti online: urly.it/3s1jz

Ufficio Stampa: Eleonora Turco eleonoraturco.press@gmail,com 329.80.279.43

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Selezione, correzione, analisi, revisione, editing dei testi finalizzati alla pubblicazione e all’inserimento nelle nostre collane

Cultura e dintorni Editore esamina nuove proposte di narrativa, poesia, saggistica e manualistica proponendone l’eventuale revisione e la pubblicazione, con l’inserimento delle opere selezionate nelle proprie collane editoriali, e la promozione attraverso i propri canali di comunicazione.

Per info scrivere a: redzione@culturaedintorni.it

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La vita davanti a sé. La promessa mantenuta di un esordio

C’è un senso di prodigio nel lavoro d’esordio di Susanna Nicchiarelli, regista del bellissimo e dolente “Miss Marx” (2022), vista all’ultimo festival di Venezia con l’ennesimo atto d’amore verso una figura fuori-canone, quella Chiara d’Assisi che si ribella al padre, alle istituzioni e squarcia il velo del maschilismo ecclesiale.

Anche quest’opera prima, “Cosmonauta”, si configura come un racconto di formazione slabbrata, una fuga all’indietro che ha il sapore della nostalgia e dell’incanto, di un tempo così idealizzato (quello dei primi anni Sessanta) da apparire scomponibile, fatto di pezzi da riassemblare affinché risultino più vicini a noi, fra l’urgenza del recupero e la consapevolezza della perdita.

Al centro c’è la storia di Luciana, che scappa dalla chiesa il giorno della prima comunione. Interrogata dalla madre, dietro una porta chiusa, urla – a nove anni – “Sono comunista!”, dopo aver corso a perdifiato per le strade del Trullo, un po’ Antoine Doinel un po’ Sam Shakusky di “Moonrise Kingdom”, mentre in sottofondo esplode Caterina Caselli, ‘nessuno mi può giudicare’: nemmeno noi.

Il lavoro sul sonoro, che è cifra stilistica di Nicchiarelli, costruisce una tensione tra la linearità degli eventi e l’educazione sentimentale della protagonista, stretta tra il rifiuto del padre (o meglio, del patrigno), l’amore per il leaderino della sezione e un intenso, seppur germinale, senso di autodeterminazione. Gli anni dell’egemonia sullo spazio, dell’entusiasmo per Gagarin e Valentina Tereshoka, fanno così da sfondo a un percorso di smarcamento che è insieme la storia di un cuore in allarme, l’inventario dei primi dubbi e furori di una giovane a cui viene insegnato a comportarsi bene («certe cose non si fanno, e non si fanno con i compagni»), a tornare a casa in orario, a cedere il passo al maschio.

Ma Luciana non arretra, e in quella corsa che fin lì è stata sempre fuga – dalla Chiesa, dai genitori, dalle sedi assaltate – ritrova sé stessa davanti a un mare limpido, calmo, appena increspato dalle onde della sua rinascita.

Ginevra Amadio

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